Nel mio lavoro esploro le relazioni fra materia, forma e spazio. Le mie sculture sono tutte cavate da un solo pezzo di legno o pietra, per quanto molte appaiano costruite con diverse parti. 

Per me la controforma è altrettanto importante dei limiti della forma: opere come Morris, Pueblo, Phosphorus, Hermitage e Tredici vanno visti da punti diversi perché col cambiare della luce e della  prospettiva ci si offrono nuove interpretazioni. 

Tendo a partire da schizzi, piú che da modelli o bozzetti per sondare il rapporto fra forme meccaniche e architettoniche e i materiali organici coi quali lavoro. Non impongo una forma da un punto di vista dominante, non proietto un disegno sulla materia solida per poi trarlo fuori. C’è tensione e reciprocità fra la forma nella mente e le proprietà della materia come durezza, elasticità, curve e difetti: tutte le caratteristiche sono tenute in conto. 

Per quanto statiche, le sculture aspirano a dare un’idea di movimento che parte dalla forma iniziale del blocco. Allo stesso tempo occupano e modificano lo spazio perché esso, definendo e penetrando un oggetto offre percezioni che cambiano con la luce e la nostra posizione. Le proprietà fisiche e la presenza delle sculture non limitano la nostra comprensione dello spazio. Vorrei dare l’idea che la forma di una scultura continui al di là dei suoi confini fisici.