L’edizione di Art Farm 2023 riflette sul rapporto tra territorio e comunità, sull’appartenenza ad un confine, limite geografico, o ad una identità collettiva.
Operiamo all’interno di un sistema organizzato su paradigmi dell’individualismo, della singolarità, eppure spesso scegliamo di abdicare all’oggettività di regole condivise per accedere – ed eccedere – entro nazionalismi che superano le nazioni per essere voce ideologica sovra statale, sovra continentale. Cos’è oggi una nazione? Cos’è oggi una comunità religiosa, etnica, folkloristica o ideologica? In quale inter-zona si intersecano i due territori, quelli segnati sui tavolini della geo-politica e quelli tracciati invece sulla carne dell’appartenenza culturale?
Art Farm – con i linguaggi e i modi che le sono storici – invita quest’anno gli artisti ad abitare il frattale, la terra di mezzo che non si sovrappone allo stato ne si oppone ad esso, ma rincorre la memoria, l’engramma e la matrice che le comunità migranti o stanziali hanno lasciato sul territorio perché questi segni generino nuove appartenenze. Le opere dovranno esprime la tensione tra le forze centripete che una nazione esercita verso i suoi individui, che una identità accentra per non perdersi nel melting e le forze centrifughe di chi, espulso dal sistema, sente di appartenere ad altre comunità in viaggio.
Inevitabilmente ogni discorso su forma e sostanza, forma statale e sostanza identitaria, genera un ossimoro che riguarda la percezione di sé e degli altri: l’identità non può quindi che darsi come provvisoria, finta, un “come se”, un artificio. Identità artificiali.
—Simone Azzoni